ArcelorMittal: storie di acciaio e proposte di nazionalizzazione dal Belgio

[pubblichiamo la traduzione di un’intervista a un dirigente del Partito del Lavoro Belga per due motivi: primaditutto riteniamo che possa intercettare utilmente un dibattito aperto anche in Italia e relativo alle nazionalizzazioni delle banche e delle imprese in crisi; in secondo luogo perché, dalle lucide parole del compagno, emerge chiaramente la consapevolezza del “punto di vista di classe” che orienta le scelte politiche dei padroni e che deve orientare, specularmente, anche le scelte politiche del proletariato]

ArcelorMittal: “Una sola soluzione: nazionalizzazione”

 

“Fermare la fase a caldo permetterà di mantenere la fase a freddo”, si sentiva dire un anno e mezzo fa da parte dei dirigenti politici di Liegi. Fallito. 1300 persone saranno direttamente licenziate. La reazione di Damien Robert, responsabile siderurgia del Partito del Lavoro Belga.

 

In totale la siderurgia di Liegi impiega più di 10.000 persone. È una regione intera, dunque, che dipende da questo settore.

L’annuncio del gruppo Mittal1 di fermare 7 linee su 12 della fase a freddo ha provocato, dunque, un terremoto nella “Città ardente”. Da notare che la rivista Forbes stima la fortuna di Lakshmi Mittal a 20,7 miliardi di dollari. Colui che vuole condannare migliaia di lavoratori alla disoccupazione è, quindi, la 21esima persona più ricca del mondo…

 

Come avete reagito quando avete appreso la notizia della chiusura della fase a freddo?

DR. Io ho avuto un sentimento di disgusto misto a ribellione. I miei primi pensieri erano per tutti quei padri di famiglia che avrebbero dovuto spiegare alle loro famiglie che non sapevano se avrebbero avuto ancora un impiego. E ancora un sentimento di rivolta contro questi politici che hanno promesso che avrebbero fatto il possibile per salvare la siderurgia, dal momento che non hanno fatto niente, se non delle promesse e delle false dichiarazioni d’impotenza. Ora, chiunque può vedere che le promesse non bastano più.

 

Liegi può sopravvivere senza la siderurgia?

DR. A Liegi il tasso di disoccupazione è al 20%. L’industria resta, malgrado tutto, il cuore dell’impiego nella regione. 10.000 lavoratori dipendono da Arcelor in maniera diretta o indiretta, senza contare il piccolo commercio che certamente conoscerà delle difficoltà. Finché non si risolleverà il potere d’acquisto delle persone, la spirale negativa continuerà e le chiusure si moltiplicheranno visto che c’è sempre meno potere d’acquisto. Bisogna dunque salvaguardare il lavoro per tutelare il potere d’acquisto e porre un’ardine alla crisi.

 

Milita giustifica la sua decisione dicendo che “il mercato dell’acciaio è in crisi” e che la domanda è in calo. Questa chiusura non è, quindi, logica?

DR. La crisi economica si approfondisce effettivamente di giorno in giorno. Ma quando Milita ha deciso per la chiusura della fase a caldo, c’erano ancora segnali di crescita della produzione d’acciaio in Europa. Il primo obiettivo di Milita, quindi, è di aumentare il suo margine di profitto e offrire agli azionisti ritorni sugli investimenti a doppia cifra.

La domanda di acciaio resta enorme dappertutto, basti pensare all’edilizia. Basta vedere le migliaia di famiglie che attendono un alloggio sociale, per esempio…

 

Nell’Ottobre del 2011 i dirigenti politici, per calmare i lavoratori, dicevano che “per salvare il freddo, bisogna sacrificare il caldo”. Perché non ci avete mai creduto?

DR. Hanno privatizzato Cockerill-Sambre2 nel 1998, col pretesto di salvare la siderurgia. I risultati? Guardate oggi. Hanno sostenuto i dividendi, col pretesto di sostenere l’impiego. I risultati? Guardatevi in giro. Nel 2011 hanno promesso un investitore, che non è mai arrivato. Nel 2011 ci hanno detto: “Esploriamo tutte le piste”. Nessuna ha avuto esito. È per questo che numerosi operai siderurgici non credono più alle promesse dei politici tradizionali, a cominciare da quelli del Partito Socialista. Per quanto riguarda la vostra domanda, è una semplice questione di buon senso. Sul mercato, la redditività economica è un fattore importante, e il rispetto degli utili è una garanzia di una produzione di qualità. Quando si elimina la fase a caldo e si fanno venire i colli da Dunkerque, questo costa molto di più. Inoltre, ciò aumenta la dipendenza della produzione a freddo da materiali che vengono da un sito più lontano. La garanzia della consegna puntuale sarà dunque meno forte. Le organizzazioni sindacali l’hanno sempre detto, e non c’è stato bisogno di molto tempo per mostrare che avevano ancora una volta ragione.

 

In che cosa la politica industriale non è sufficiente?

DR. Si attirano grandi imprese con agevolazioni fiscali, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti. Milita ha approfittato al massimo della generosità del fisco belga con i dividendi, del pagamento per la regione Vallone delle quote di emissioni di CO2, dei sussidi alla disoccupazione e alla formazione. Il risultato di questi doni fiscali non è, contrariamente a ciò che dice il sig. Di Rupo (presidente del Partito Socialista Belga e Primo Ministro dal 2011, n.d.T.), la creazione di lavoro, ma la cancellazione di lavoro e la distruzione dell’industria principale della regione di Liegi. Di fronte a questa constatazione, ogni governo soltanto un po’ più attento al sociale direbbe: “OK, abbiamo fatto una legge per salvare le banche, facciamone una per salvare la siderurgia”. Ma il PS non vuole farlo, perché il cuore dei suoi dirigenti batte molto più per i padroni che per i lavoratori.

 

Il PS dice di cercare un investitore che sia “meno avido…”

DR. Sono chiacchiere. Come farà un imprenditore privato, nella situazione di crisi economica attuale, a realizzare un ritorno sugli investimenti del 15%? Al contrario, un’impresa pubblica può gestire questa situazione di crisi perché il ritorno sull’investimento che essa si aspetta è meno importante. Un capitalista è un capitalista. Essi sono sottomessi alle stesse regole: quelle della concorrenza. Per questo motivo, funzionano tutti alla stessa maniera. Ciò che il PS vuole è acquistare i macchinari da Mittal e rivendere l’impresa a un gigante dell’acciaio americano o giapponese. Ma questo non cambia niente al problema.

 

Ma la gestione pubblica non affosserà l’economia?

DR. Se il pubblico pagasse il salario dei lavoratori, i soldi versati sarebbero reintrodotti nel circuito economico. È una logica apparentemente paradossale, ma per questo è ineluttabile. Si vede, del resto, molto bene il legame con la Ford. In quel caso, la mancanza di potere d’acquisto dei lavoratori porta un calo delle vendite di vetture e quindi un calo della produzione che si trasforma in una chiusura. E questa chiusura a cosa porta? Un calo delle commesse per ArcelorMittal a Liegi. Quindi, se i lavoratori fossero mantenuti, il potere d’acquisto e la capacità di consumare i prodotti industriali sarebbe più grande. Nazionalizzare la siderurgia significa salvare i lavoratori, ma anche investire nella ripresa economica.

 

La nazionalizzazione è possibile nella pratica?

DR. Sì. In Belgio abbiamo degli esempi concreti. La Sonaca, nell’industria d’eccellenza aeronautica. La FN nel settore degli armamenti. Dunque, perché no? In Germania esiste una siderurgia integrata con 5.000 lavoratori che producono più di 3.000.000 di tonnellate all’anno. Questa siderurgia è stata messa sotto controllo pubblico nel 1998 dopo una lotta dei lavoratori tedeschi. Dunque, perché da noi no?

È necessaria una legge per esigere l’esproprio dei siti per un euro simbolico. Il privato si aspetta un ritorno sugli investimenti a doppia cifra. Ma un’impresa pubblica non ha quest’obbligo. Il suo primo obiettivo è di creare impiego e, eventualmente, ricavarne profitto. Ci si può accontentare di un ritorno del 2 o 3%, ma anche nei primi tempi del -1 o -2%. E’ sempre meno denaro perso per la collettività che non 10.000 disoccupati in più, che bisognerà pagare, e che non avranno lo stesso potere d’acquisto.

 

La presidentessa dell’Open Vld3, Gwendolyn Rutten, ha dichiarato che era assurdo ripetere gli “errori degli anni ’70, le nazionalizzazioni che sono state degli sbagli”. Che cosa risponderle?

DR. Negli anni ’70 le nazionalizzazioni proteggevano il lavoro e il potere d’acquisto dei lavoratori. È la privatizzazione che mette in pericolo il lavoro e il potere d’acquisto. Io non credo che Mme Rutten possa offrire un esempio di una privatizzazione di successo.

Negli anni ’70 la siderurgia di Liegi ha perso 5 miliardi di franchi belgi (125 milioni di euro). Con i fondi europei e il denaro pubblico, è diventata finalmente redditizia nel 1997. E poi? L’hanno privatizzata…Nel 1988 il 62% della siderurgia europea era pubblico. Nel 1997, questa cifra è crollata al 7%. Hanno reso queste imprese redditizie in tutta Europa con l’iniezione di 50 miliardi di euro di denaro pubblico. Se si poteva fare per i capitalisti negli anni ’80, perché non si potrebbe fare ora per i lavoratori?

 

Che si può fare per aiutare i lavoratori della Arcelor?

DR. Ciò che succede ai ragazzi giù a Cockerill può succedere dappertutto. Guardate Genk4…La lotta per il lavoro è una lotta chiave per il nostro futuro. La vostra solidarietà è anche una delle garanzie per far avanzare la lotta. Saranno organizzate azioni e manifestazioni. Unitevi alla gente di Cockerill nella loro lotta per l’impiego. Venite a queste manifestazioni con delegazioni di sostegno e striscioni. Diffondete lo spirito della lotta intorno a voi. È il miglior contributo alla lotta.

 

Qualche cifra:

 

2,9 miliardi: i profitti mondiali del gruppo ArcelorMittal nel 2010

 

0,000026%: nel 2011 ArcelorMittal ha versato solamente 936 euro di tasse su un incasso di 35 milioni di euro.

 

Fonte: http://www.ptb.be/nieuws/artikel/arcelormittal-une-seule-solution-la-nationalisation.html

1La ArcelorMittal è un colosso mondiale della produzione d’acciaio, nata nel 2006 dalla fusione di due gruppi, con sede in Belgio. Ha uno stabilimento anche a Piombino.

2Gruppo siderurgico belga acquisito dalla Usinor, poi diventata Arcelor, nel 1998.

3Partito dei Liberali e Democratici Fiamminghi.

4Nella cittadina belga c’è uno stabilimento della Ford sotto minaccia di chiusura.

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