[E’ di ieri (3/07/2013) la notizia dell’arresto, in Egitto, di Mohamed Morsi ad opera dell’esercito e della costituzione di un provvisorio governo di coalizione. Nel giro di due anni le piazze egiziane, piene di lavoratori organizzati in partiti, associazioni, sindacati, hanno buttato giù il pluridecennale governo di Mubarak e il ben più fragile governo dei Fratelli Musulmani: e non accennano a svuotarsi. L’invadenza politica dell’esercito, che non ha mai lasciato le scene in questi due anni, ha portato molti opinionisti e commentatori qui da noi, anche a sinistra, a liquidare frettolosamente l’ultima vicenda come un banale “colpo di Stato”, le cui responsabilità sarebbero da attribuire solo ed esclusivamente all’ingerenza USA. Se ci aspettiamo – al netto del riferimento all’intervento occulto statunitense – una ricostruzione del genere dai media embedded, ci aspetteremmo viceversa una maggiore attenzione alle scelte politiche delle organizzazioni comuniste e della sinistra egiziana in generale negli ultimi anni, da parte di chi, qui da noi, si colloca senza esitazione dal lato giusto della barricata, quello della sovversione dell’esistente: ci è sembrato invece di leggere solamente semplificazioni che, riducendo il vasto movimento di rivolta ad una contrapposizione tra due attori, uno – la Fratellanza – più, l’altro – l’Esercito – meno indipendente dall’imperialismo, liquidavano i movimenti popolari nella migliore delle ipotesi come ingenue pedine in buona fede nelle mani di forze più grandi. Non condividiamo questa rappresentazione che annichilisce l’autonomia della classe e le scelte del popolo in lotta; non abbiamo però neanche la presunzione di portare un contributo originale ad una vicenda molto complessa che ci vede, anche per l’abnorme distanza politica tra piazze vive e in lotta e piazze – le nostre – sempre più spesso deserte e tristi, sempre più soltanto semplici spettatori. Ci limitiamo, dunque, a pubblicare la traduzione di due contributi che abbiamo trovato interessanti: il primo, di Hesham Sallam, chiarisce che tra Esercito e Fratellanza il popolo lavora per una “terza via” e che, anzi, la contrapposizione tra militari e Fratelli musulmani è molto più di facciata che reale; il secondo, di Gilbert Achcar, mette bene in luce la base economica del potere politico della Fratellanza, contribuendo a chiarire ulteriormente che difficilmente l’espressione politica di una tale frazione di capitale, così profondamente dominato dall’imperialismo, potrebbe svolgere in alcun modo una funzione antimperialista, utile per lo sviluppo e il rafforzamento delle lotte nella regione…anzi. Comunque la si pensi, tentare un approfondimento che vada al di là di ciò che arriva tramite i nostri media ci sembra fondamentale]
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