Il nodo scorsoio dei contratti collettivi. Aumento salariale o attacco al lavoro?

I lavoratori precari e a tempo determinato della Germania possono finalmente tirare un sospiro di sollievo. A partire dal 30 Ottobre 2013, quando verranno a scadenza i contratti collettivi per i lavoratori precari, entrerà in vigore un nuovo contratto collettivo valido per due anni, che prevede un aumento salariale del 3,8%, portando la paga a 8,50 euro/l’ora nel primo anno e a 9 euro nel secondo. La DGB (la federazione tedesca dei sindacati) conclude un accordo con la confindustria che prevede condizioni che qui ci sogniamo.

Che le sorti dell’economia tedesca siano migliori di quelle di altri Paesi europei è un dato di fatto, basta considerare che secondo le recenti stime del FMI per il 2013, la Germania è l’unica tra le grandi nazioni europee che segna un dato positivo, seppure esiguo e fondamentalmente da recessione, di crescita del PIL (+0,5%); ma siamo abituati a leggere i dati e le gli accordi sulle condizioni di lavoro quantomeno con sospetto, se non addirittura con la consapevolezza che, quando si tratta di Capitale, ogni fenomeno contiene anche il suo contrario: ovvero, l’aumento in valori assoluti del salario dei lavoratori a tempo determinato, rappresenta un sostanziale peggioramento delle condizioni di lavoro. Come è possibile?

La battaglia della DGB per chiudere un contratto collettivo per i suoi iscritti è il miglior modo per evitare l’automatico adeguamento dei salari e delle condizioni lavorative dei precari (leiharbeiter) ai loro colleghi a tempo indeterminato. Questo adeguamento significherebbe, infatti, non solo un più congruo trattamento economico, ma anche assistenza, ferie pagate, condizioni di lavoro migliori, e soprattutto una stabilità di queste garanzie sul lungo periodo.

In Germania, molti lavoratori si sono mobilitati con picchetti e campagne di informazione contro questo accordo che la DGB ha stretto con la confindustria e i consigli di amministrazione. La federazione dei sindacati, con l’atteggiamento corporativo che contraddistingue la cooperazione fra sindacati e aziende, ha potuto evitare l’adeguamento grazie a una legge costituzionale che deroga al principio della parità tra prestazione e trattamento economico, nel momento in cui esiste un contratto collettivo. Per contratto collettivo, ovviamente, si intende un contratto che si riferisca a una particolare branca della produzione o semplicemente a un gruppo di lavoratori facenti capo a una azienda o a una rappresentanza sindacale. Si capisce facilmente quanto risultino deregolamentati i rapporti di lavoro, e quanto i sindacati abbiano tutto lo spazio possibile per accordarsi con i consigli di amministrazione, a danno dei lavoratori, in cambio di rappresentatività, e dunque di potere politico ed economico da sfruttare come volano per carriere personali o per profitti privati. I sindacati diventano sempre più agenzie di servizi o cartelli di interesse che privatizzano i loro profitti e i loro guadagni. È questo il modello tedesco? Si trova qui il proletariato che merita l’impropria definizione di aristocrazia operaia?

La DGB (riprendendo una posizione che era stata frutto di alcuni accordi della confederazione dei sindacati cristiano-democratici CGB) si è affrettata a stipulare un contratto collettivo per i suoi iscritti, così da evitare l’adeguamento automatico tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato. “Unternehmer und DGB Gewerkschaften Hand in Hand für Kapitalprofite und Niedriglohn”, dice un articolo apparso su diversi blog, siti e giornali tedeschi (qui un dossier sulla questione), cioè “l’imprenditore e i sindacati della DGB si stringono mano nella mano per la diminuzione salariale e il profitto del capitale”.

In Germania è sotto attacco il principio della parità di retribuzione a parità di prestazione e l’accordo stretto dalla DGB va esattamente in questa direzione, rifacendosi agli accordi (anche questi sottoscritti e promossi dalla DGB) per le cosiddette Branchentarifverträge (contratti di settore), che prevedono aumenti salariali fino al 50% per i lavoratori temporanei in alcuni settori dell’industria, così da evitare gli adeguamenti complessivi di paga e di trattamento ai lavoratori a tempo indeterminato. Si tratta, insomma ancora una volta di soldi in cambio di diritti, una logica che conosciamo anche qui e che è la stessa di un Marchionne qualunque. Cambiano le condizioni oggettive delle economie, delle produzioni e dei valori assoluti dei salari, ma l’attacco si muove proprio nella stessa direzione, con la stessa modalità: diminuzione dei diritti e aumento della precarietà. Non bisogna dimenticare, infatti, che questi aumenti salariali sono aumenti a scadenza, che valgono per un numero limitato di anni allo scadere dei quali le condizioni verranno ridiscusse sulla base delle esigenze di profitto dell’azienda.

La Germania è indubbiamente un modello avanzatissimo nella velocità e semplicità di questo tipo di manovre. I sindacati hanno tutta l’agibilità per stipuilare contratti collettivi che stabiliscono e permettono di consolidare differenziazioni di trattamento, assecondando non i bisogni dei lavoratori, ma le esigenze della singola industria o di un ramo della produzione in crisi che non riesce a garantire gli adeguati profitti privati. Il modello tedesco di sindacalizzazione cooperativa che viene promosso come modello di crescita e civiltà diventa un vero e proprio nodo scorsoio che sindacati e padroni allentano e stringono a piacimento sul collo dei lavoratori per assecondare le esigenze del Kapitalprofite.

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