[Pubblichiamo la traduzione di questo intervento, preso da nodo50.org. Abbiamo trovato interessante l’articolo sul piano della documentazione di quanto avviene nello Stato spagnolo in risposta alla crisi. È noto qui da noi quello che passa anche per i media borghesi, e quindi le grandi mobilitazioni che hanno attraversato lo Stato spagnolo almeno da due anni a questa parte: meno note sono queste esperienze di autogestione della produzione da parte degli operai, e non a caso. Banalmente, la semplice constatazione dell’esistenza di imprese attive, gestite direttamente dai lavoratori, è la dimostrazione che si può lavorare, e produrre, senza un padrone; che la figura dell’imprenditore non è altro che quella di un parassita, che campa succhiando il sangue e il sudore dei lavoratori e appropriandosi del frutto del loro lavoro. Lo scarto ideologico che si può determinare con la diffusione di queste notizie è, perciò, notevole: si tratta infatti della dimostrazione empirica della possibilità, per i lavoratori, di dirigersi, senza essere diretti da qualcun altro.
Non condividiamo, invece, la sottotraccia ideologica del testo, l’idea, cioè, che l’autogestione attraverso le cooperative possa essere una strada per l’uscita dalla crisi: si tratta certamente di un fortissimo momento di rottura delle compatibilità, che generalizzato può portare a non pochi problemi per i padroni, oltre che di un salto di qualità enorme sul piano della coscienza di classe, ma non si rompe, con le cooperative, col sistema capitalistico nel suo complesso; non si rompe, cioè, con il sistema dello sfruttamento organizzato sul piano internazionale. L’autogestione diretta , come forma di autorganizzazione per difendere il proprio lavoro e il proprio salario,va generalizzata e difesa con tutti i mezzi, e può essere interessante elemento di riflessione per l’arretratezza, prima che politica, economica e rivendicativa di molte lotte qui da noi; ma non può essere confusa – come ci sembra faccia l’autore – con una possibile via d’uscita dalla crisi.
La collettivizzazione e l’autogestione, sul piano politico, bypassano un nodo fondamentale che, contrariamente a quanto si va dicendo ormai da troppi anni anche a sinistra, è ineludibile: la presa del potere politico da parte del proletariato internazionale organizzato. Ciò non significa che si debba aspettare il momento della sollevazione – magari in contemporanea – dei lavoratori di tutto il mondo, ma piuttosto che per incamminarsi sulla strada della liberazione dallo sfruttamento non si possa prescindere dall’affrontare questioni fondamentali quali la costruzione dell’organizzazione politica della classe lavoratrice internazionale per – ancora – conquistare il potere politico. Senza un piano d’azione di questo tipo, è purtroppo facile prevedere che – come pure nota l’autore nella ricostruzione storica – esperienze come queste, anche radicali, sono condannate ad avere un andamento ciclico e, dunque, a terminare, prima o poi. (laCuocaDiLenin) ]
Fabbriche recuperate e autogestione nella nuova realtà dello Stato spagnolo
La risposta alla crisi può essere la collettivizzazione delle imprese da parte degli stessi lavoratori
Con il panorama della crisi finanziaria ed economica, lo Stato spagnolo ha cominciato a tagliare in maniera più incisiva. Così la chiusura di imprese e i licenziamenti si sono succeduti e continuano a succedersi, lasciando una scia di disoccupati. Nel fuoco delle proteste e della resistenza, la trasformazione sociale (con l’autogestione come elemento centrale) appare con forza all’orizzonte della Spagna.
Solo cinque o sei anni fa, parlare di fabbriche recuperate o di collettivismo in Spagna significava maneggiare concetti non solo marginali, ma profondamente estranei agli interessi e le esperienze della grande maggioranza della popolazione.Come parte della società della bolla, del consumo sfrenato e della fiesta giovanile, nessuno suggeriva, oppure lo facevano gruppi molto piccoli o molto localizzati geograficamente, la necessità di lavorare per se stessi in una prospettiva orizzontale, libera dal comando capitalista.
Marinaleda1 o Arrasate/Mondragòn2 erano esperienze di autogestione di dimensione globale, ma la verità è che la generalità della popolazione dello stato spagnolo rimaneva profondamente estranea ai valori che le sostenevano. Tuttavia, non è sempre stato così.Senza dover tornare alle collettivizzazioni durante la guerra civile del 1936-39 (che riguardavano gran parte dei servizi, delle industrie e dell’agricoltura nella zona repubblicana), nello scenario della cosiddetta Transizione spagnola dal franchismo alla democrazia, negli anni ’70, l’esperienza dell’occupazione di fabbriche da parte dei lavoratori giocò un ruolo importante.
Erano tempi di crisi, fratture e di grandi movimenti popolari. È stato nel fuoco delle iniziative che sono nate esperienze come la Numax, una fabbrica di elettrodomestici autogestita da parte dei lavoratori in risposta al suo tentativo di chiusura irregolare da parte dei padroni, la cui esistenza è narrata in due documentari di Joaquim Jorda: “Numax presenta…” e “20 anni non sono niente3”.
Alcune delle esperienze di quegli anni sono sopravvissute, nonostante tutto, fino ad oggi, come la Mol di Barcellona, oggi responsabile della realizzazione delle carrozze di una linea della metropolitana di Barcellona, del treno e di centinaia di macchine industriali per aziende come la General Motors; oppure l’azienda di stampa Gramagraf, occupata da 25 anni, e attualmente parte del gruppo editoriale cooperativo Cultura 03.
Ma la Transizione è finita, e terminò un grande fiasco. Le linee essenziali del regime di Franco furono mantenute in quella che fu una semplice riforma politica che ha introdotto il paese nel campo della Unione Europea e della NATO, e che ha concesso alcune libertà civili, ma non toccò i meccanismi essenziali dell’attribuzione del potere economico e sociale. I grandi movimenti popolari si sono sgonfiati, e le sperimentazioni e la lotta furono sostituite dal “disincanto” e dal cinismo. Le proposte di autogestione non sono mai scomparsa, ma sono state relegate in uno spazio puramente marginale.
E questo è accaduto, mentre la “società della bolla” e il suo consumo eccessivo e irresponsabile rimanevano in pieno vigore. Come? Con il credito al consumo e lo sfruttamento del lavoro migrante e giovanile, con la precarizzazione delle condizioni di lavoro e la creazione di una legge sull’immigrazione che ha incoraggiato il lavoro nero e senza diritti.
All’arrivo dell’attuale crisi economica e finanziaria, i parametri si sono modificati e tutto è cambiato: l’escalation inarrestabile del tasso di disoccupazione fino a livelli mai visti in precedenza nella società spagnola e la rapida degenerazione del tessuto produttivo e imprenditoriale – allo scoppio e all’ implosione della bolla immobiliare -, hanno generato una situazione radicalmente nuova che ha implicato l’inizio di grandi trasformazioni economiche e anche socio-culturali.
La disoccupazione e la povertà che ritornava hanno spinto ampie fasce della popolazione verso l’economia sommersa e i magri sussidi di un Welfare che non è mai arrivato a svilupparsi, nello Stato spagnolo, fino ai livelli raggiunti nei paesi centrali d’Europa.
Le estreme (più correttamente, estremiste) rettifiche apportate dal governo prima dello scoppio della crisi del debito estero generata dalla socializzazione dei debiti privati delle istituzioni finanziarie hanno causato l’effetto che ci si poteva aspettare: lo Stato spagnolo è diventato un gigantesco deserto economico in cui le chiusure delle imprese si seguivano e settori ampi della popolazione cominciavano ad essere esclusi dalle attività produttive.
In questo contesto si svilupparono gli eventi del 15 Maggio 2011, e scoppiò con forza il cosiddetto “Movimento degli indignati”, che ha espresso i primi tentativi di resistenza di massa al processo di decomposizione sociale imposto dalle dinamiche neoliberiste dell’ UE e dei governi spagnoli. Da allora, l’architettura politica della società è tornata ad essere un elemento di dibattito e discussione pubblica. La politica riguadagnava una certa centralità nelle conversazioni di tutti i giorni e nelle menti della popolazione. Parlare, ora, di proteste, resistenza o di trasformazione sociale (con l’autogestione come elemento centrale) torna ad essere possibile.
Ma già negli ultimi mesi, nel dispiegarsi della crisi, si sono iniziati a diffondere i germi e i semi di questa nuova situazione. E l’attività di recupero delle imprese da parte dei lavoratori è tornata ad essere di nuovo pensabile.
In questo senso, già nei primi anni della crisi circa 40 aziende sono state rilevate dai lavoratori e messo a funzionare in forma di cooperativa, come sostenuto dalla Confederazione delle cooperative di lavoro (COCETA). Tra queste si contano imprese come l’azienda di robotizzazione Zero-Pro di Porrino (Pontevedra), o la fabbrica di mobili da cucina Cuin Factory a Vilanova i la Geltrù (Barcellona), dove l’ex capo ha partecipato attivamente nella collettivizzazione e dove tutti i lavoratori si sono imposti un salario uguale, pari 900 euro. Sempre con il sostegno da parte del proprietario, è nata l’autogestione a Sabadell della fabbrica metallurgica Talleres Socar, convertita nella cooperativa Mec 2010.
Ma forse l’iniziativa più eclatante e nota è l’iniziativa degli ex dipendenti del quotidiano nazionale Publico che aveva terminato le pubblicazioni il 23 Febbraio 2012, lasciando il 90% dei propri lavoratori in strada. Sono stati i lavoratori stessi che hanno costituito la cooperativa Màs Publico, che cerca di ottenere sostegno sociale e finanziario per continuare a pubblicare il giornale in formato mensile.
Senza dubbio, nonostante queste esperienze non si può dire che la via del recupero delle imprese sia diventata qualcosa di abituale o conosciuto: i lavoratori in situazioni simili, preferiscono ancora provare a cavarsela con i sussidi previsti da un Welfare sempre più debole e in discussione. Le difficoltà del concetto giuridico della cooperativa nel diritto spagnolo, e la quasi totale assenza di disposizioni relative nella legge fallimentare, unite a una certa passività alimentata da decenni dai decenni di universo speculativo e conformista, probabilmente sono alla base delle limitazioni di questa strategia di recupero.
Ciò che sembra sempre più comune è il crescente ricorso a cooperative da parte di molti disoccupati che, a fronte della situazione di anomia produttiva e di mancanza di prospettive di essere assunti, ricorrono alla possibilità di capitalizzazione dei sussidi di disoccupazione per la formazione di imprese autogestite. Ci sono innumerevoli esempi (come la cooperativa di energia rinnovabile Som Energia, creata nel dicembre 2010) e, in alcuni casi, mostrano chiari legami con i movimenti sociali (come nel caso della creazione di esperienze a immagine e somiglianza della Cooperativa Integrale Catalana, o quelle di ambito libertario come l’impresa di grafica Tinta Negra). In effetti, da gennaio a marzo 2012, ci fu la creazione di circa 223 nuove cooperative dello Stato spagnolo.
Non c’è dubbio. Nuove strade sono percorse da società spagnola, nel bene e nel male. E tra loro, il percorso di autogestione sta diventando sempre più comune.
José Luis Carretero y Miramar – Istituto di Scienze Economiche e dell’Autogestione – Madrid
1Comune andaluso amministrato da Izquierda Unida, dove è stato avviato un piano di autocostruzione delle abitazioni a un costo di 15 euro al mese.
2Comune di Euskadi/Paìs Vasco, sede del Movimento Cooperativo Basco.