Notizie dalla “Locomotiva” d’Europa

Vogliamo tenere d’occhio quello che succede in Germania, il Paese che secondo il senso comune ha resistito, o ha subito meno, oppure non ha subito affatto gli effetti della crisi economica. La lotta degli operai della Opel dimostra come anche in Germania la battaglia per la riduzione del costo del lavoro sia più viva che mai, attraverso delocalizzazioni, chiusure e licenziamenti. Di recente la questione è balzata agli onori della cronaca perché nel Dicembre dell’anno appena trascorso è stata decisa la definitiva chiusura dell’impianto di Bochum – già depotenziato otto anni fa – a partire dal 2016. Tra gli articoli che siamo riusciti a leggere ne abbiamo scelto uno in particolare, non tanto per la cronaca dei fatti (che non è troppo diversa da quella a cui siamo abituati in merito alle vicende della FIAT), quanto per la descrizione della posta in gioco. Il modello di collaborazione tra sindacati e consigli di amministrazione, infatti, si rivela ai lavoratori tedeschi come un depotenziamento del potere di pressione della classe operaia, a causa della promozione di filtri di rappresentanza molto forti che promuovono logiche corporative e collaborazioniste con le esigenze del padronato. In un momento di acuta crisi in tutto lo spazio europeo (e in particolare nel mercato dell’auto), ritorna lampante – proprio in Germania – la necessità di riappropriarsi di forme radicali di lotta, contro i consigli di amministrazione e i vertici sindacali che sono ammesse ai livelli di gestione del conflitto sociale. Proprio in Germania, infatti, si è da tempo concluso il processo di riduzione dello spazio di rappresentanza dei sindacati non allineati.

 

L’ultima tranche: la chiusura della Opel di Bochum

di Daniel Behruzi, da Jungewelt del 10.12.2012

Il tema dell’ “inizio della fine” e della “morte a rate” era già stato affrontato in questo giornale esattamente otto anni fa, quando venne decisa l’eliminazione di 3600 dei circa 9600 posti di lavoro nella Opel di Bochum (Dicembre 2004). Ora deve arrivare a scadenza anche l’ultima tranche di licenziamente. In un messaggio di 40 secondi il Capo della Opel Thomas Serdan ha comunicato la chiusura del sito, un attimo prima di scappare dall’uscita posteriore. Dal 2016 la fabbrica, costruita 50 anni fa, non produrrà più alcuna vettura. Il Betriebsrat (consiglio di fabbrica) e il vertice del sindacato IG Metall invitano alla calma.

In realtà, è arrivato il tempo di ricordarsi della tradizione della lotta di classe della Ruhr. Dopo, sarà già troppo tardi.

Alla base, c’è la decisione di non produrre più Auto a Bochum dopo la fine della produzione della attuale Zafira nell’estate del 2016. Contro la protesta, la rappresentanza dei lavoratori vorrebbe i negoziati. Loro hanno calcolato che il sito di Bochum è un sito molto produttivo. Il capo del Betriebsrat Reiner Einenkel, invece, promuove un “livellamento al ribasso dei costi” tra le fabbriche della General Motors in Europa. Tutto questo tentativo di convincere la GM con argomenti economici, non è riuscito. La sola cosa che può aiutare è seguire il messaggio di Einenkel: ridurre i costi in questi tre anni, e così forse evitare la chiusura dell’impianto “più costoso di tutti i tempi”. Finché l’ultima Zafira non esce dai nastri, infatti, la chiusura non sarà possibile. Questa è stata la strada che hanno seguito circa due anni fa gli impiegati belgi di Anversa. Ma quando hanno deciso di alzarsi in piedi e lottare, era già troppo tardi.

I lavoratori della Opel di Bochum devono decidersi per la via della lotta dura. Il potenziale di pressione economica è di gran lunga ridotto rispetto a qualche anno fa. Dall’inizio del secolo ci sono stati pochi giorni di sciopero a Bochum, finalizzati alla paralisi della produzione della GM europea. L’indotto, inoltre, è stato completamente trasferito, e i sindacati non fanno altro che chiamare alla “solidarietà attiva”, dicendo che non si possono abbandonare i lavoratori.

Ma in realtà chi non lotta non può ottenere nulla. In caso di licenziamenti massicci, le delegazioni sindacali manderebbero gli impiegati in altri impianti, per farsi pubblicità. Questo avrebbe sicuramente una grande risonanza, non solo in Opel, ma anche in tutte le branche della produzione colpite dalla crisi.

 

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