[traduciamo un articolo tratto dalle pagine francesi del periodico online Basta! per diversi motivi: riguarda un tema, quello del trattato euro-statunitense sul libero scambio, sostanzialmente ignorato dai media nazionali; presenta essenzialmente il punto di vista dei sindacati cd. “concertativi” europei e della cd. “sinistra riformista” (Attac). Di fronte ad una tendenza costante specialmente negli ultimi anni, cioè quella all’omologazione al ribasso delle condizioni di sfruttamento a livello mondiale, i sindacati interni alla CES tentano di difendere rendite di posizione, cercando di evitare che, attraverso il ricorso a forme di giustizia arbitrale, le multinazionali possano di fatto scavalcarli nelle decisioni; Attac rileva stupita la scarsa democraticità della Commissione Europea (ma va?) e auspica che il trattato possa essere non ratificato dal Parlamento (come se il Parlamento Europeo non fosse espressione delle stesse forze di cui è espressione la Commissione). Per quanto ci riguarda, il principio cardine del trattato, e cioè la possibilità per un’impresa di ricorrere a collegi arbitrali – e non ai tribunali ordinari – nel caso in cui consideri leso il suo profitto da una qualunque decisione del legislatore o frutto di accordi collettivi, è la sanzione formale di una vera e propria rivoluzione copernicana, che lede nella sostanza i diritti conquistati dai lavoratori all’interno dell’architettura normativa di matrice borghese): si stabilisce esplicitamente, infatti, la possibilità che le relazioni tra Stati e multinazionali siano relazioni “tra pari”, e che in nome del profitto le decisioni di uno Stato – espressione formale, anche se non sostanziale, della volontà collettiva – possano essere scavalcate. Inoltre, la centralità di questo punto nel trattato dimostra che la marcia verso una – possibile, ma non certa – “reindustrializzazione” dei paesi a capitalismo avanzato passa per la soppressione dei diritti e delle garanzie che decenni di lotte operaie avevano ottenuto.]
I diritti dei lavoratori, l’esercizio della libertà sindacale e la prevenzione della salute sul lavoro sono minacciate dall’accordo commerciale in corso di negoziazione tra UE e USA? È ciò che temono i sindacati europei. Il trattato commerciale transatlantico, formalmente detto “Partenariato transatlantico di commercio e investimenti” (PTCI) (ma anche TTIP o Tafta) è negoziato nell’opacità dal mese di luglio 2013. Gli elettori non sanno molto delle discussioni. I governi e i deputati europei ne sono tenuti a distanza. È la commissione europea che negozia il trattato direttamente con l’esecutivo statunitense. Il trattato mira a istaurare una vasta zona di libero scambio: 29 stati, 820 milioni di abitanti, separati dall’Atlantico del nord.
Eliminazione dei diritti di dogana, soppressione degli “ostacoli non-tariffari” al commercio (licenza d’esportazione, controllo qualità sulle importazioni…), armonizzazione delle norme e dei regolamenti, questi sono gli argomenti sul tavolo dei negoziati. Le norme europee in materia sociale o ambientale potranno così essere giudicate troppo restrittive. Un tale trattato potrà per esempio aprire le porte europee all’arrivo del manzo agli ormoni americano.
Gli Stati Uniti, ultimi della classe in materia di diritti dei lavoratori
Altro punto sensibile: i meccanismi di “protezione degli investimenti”. Questi permettono alle multinazionali statunitensi ed europee che si considereranno “discriminate” da una certa regolamentazione di reclamare delle indennità agli Stati, davanti a collegi arbitrali, se giudicheranno danneggiati i loro investimenti. Tali collegi arbitrali esistono già, e i loro “arbitrati” si fanno sempre più spesso in favore degli interessi privati. Grazie a loro, delle imprese europee hanno per esempio presentato ricorso contro l’aumento del salario minimo in Egitto o contro l’abbandono del nucleare deciso dalla Germania nel 2011. La sola minaccia di ricorso, contro il divieto di un prodotto giudicato tossico, di una tecnica d’estrazione particolare o del lavoro domenicale, per esempio, può alle volte essere sufficiente per far cambiare le decisioni degli Stati a profitto delle imprese. Per la Commissione Europea, il gioco vale la candela. Secondo la commissione, l’accordo transatlantico “stimolerà la crescita e creerà dei posti di lavoro”. Un ottimismo che non è sufficiente a convincere i sindacati europei. Al di là dell’approssimazione delle previsioni sugli effetti positivi che potrebbe avere il trattato sullo stato di salute dell’economia europea – 0,5% di crescita supplementare in Europa grazie al trattato secondo uno studio commissionato dalla Commissione – , i sindacati del vecchio continente si preoccupano piuttosto delle conseguenze potenzialmente devastatrici sul diritto del lavoro.
Un’armonizzazione… verso il basso
“Noi non siamo contro l’accordo di libero scambio per principio. In certi settori, come l’automobile, l’UE e gli USA hanno entrambi norme di sicurezza severe e comparabili, ma procedure di controllo differenti. In tal caso, un’armonizzazione non è una cattiva cosa”, analizza Mathieu Moriamez, segretario confederale della CGT delegato alle questioni internazionali. Ma sappiamo che gli accordi di libero scambio si fanno per accrescere i profitti delle multinazionali a svantaggio delle popolazioni.”
Nel caso specifico, ciò che preoccupa la CGT come il resto dei sindacati europei, è la prospettiva di un’armonizzazione verso il basso. Nei campi dell’agricoltura e dell’ambiente, ma anche in materia di protezione sociale e di lavoro. “Il principio del salario minimo e la protezione sociale potranno allo stesso modo essere rimessi in discussione se saranno considerati come un ostacolo alla concorrenza”, avvisa la CGT. Una preoccupazione tanto più forte dal momento che lo Zio Sam non è esattamente un esempio da seguire in materia di protezione dei lavoratori. “Nel settore privato, i quadri o il personale di direzione, gli imprenditori indipendenti o i lavoratori a domicilio non hanno diritto di costituire un sindacato o di aderirvi, né tantomeno i lavoratori agricoli ad eccezione di un piccolo numero di Stati”, sottolinea il bilancio annuale della Confederazione sindacale internazionale sui “paesi a rischio” in materia di violazioni dei diritti sindacali. In pratica circa il 15% della manodopera nel settore privato non ha il diritto di sindacalizzarsi! Pubblicazioni sindacali proibite all’interno delle imprese, minaccia di chiudere un sito se un sindacato si costituisce, rifiuto di negoziare coi sindacati rappresentativi: gli attentati alla libertà sindacale sono numerosi.
“Gli Stati Uniti non hanno ratificato tutte le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL)”, segnalava ad aprile 2013 la Confederazione europea dei sindacati (CES). L’organizzazione si preoccupa anche delle “violazioni dei diritti fondamentali dei lavoratori negli Stati Uniti, in particolare del diritto ad organizzarsi e a negoziare collettivamente”, La federazione sindacale tedesca DGB aveva anche fatto suonare l’allarme l’anno scorso: i negoziati del partnerariato transatlantico sono iniziati mentre gli USA continuavano a non aver sottoscritto sei delle otto convenzioni fondamentali dell’OIL, tra le quali quelle sulla libertà di riunione e sul diritto a negoziati collettivi. “ Assistiamo sempre, negli Stati Uniti, a casi in cui le attività sindacali sono impedite, a volte anche nelle filiali dei grandi gruppi tedeschi”, aggiunge il sindacato tedesco.
La libertà sindacale, un ostacolo al commercio?
“Questo trattato non metterà direttamente in pericolo i diritti sindacali in Europa. Ma gli Stati Uniti possono produrre più a buon mercato perchè le norme fondamentali del diritto del lavoro e della liberta sindacale non sono rispettate, spiega Wolfgang Uellenberg, della confederazione sindacale tedesca dei servizi Ver.Di. Adesso, col partenariato transatlantico, le imprese potranno contestare gli standard dell’OIL come discriminanti. Potranno argomentare che la protezione dei lavoratori e dei diritti sindacali sono degli ostacoli al commercio e al libero scambio”. I ricorsi davanti ai collegi arbitrali in nome della protezione dei loro investimenti potrà aiutarli. Anche l’unione sindacale svedese, piuttosto favorevole al trattato, rifiuta questo meccanismo “in contrasto col principio della sovranità degli Stati”. E i sindacati statunitensi rifiutano anche loro che il partenariato contenga questo meccanismo. Senza rigettare in blocco il principio di un accordo, i sindacati europei vogliono un trattato che protegga il lavoro. “Un tale accordo dovrà piuttosto avere come obiettivo il pieno impiego, un lavoro decente e migliori condizioni di vita per tutti”, insiste la CGT. Per il potente sindacato tedesco dell’industria IG Metall, “l’accordo deve contenere una clausola specifica che proibisca uno smantellamento dei diritti dei lavoratori e delle norme sociali e assicuri ogni volta lo standard più elevato”.
Il governo tedesco vicino ai sindacati?
In Germania, i sindacati hanno trovato un orecchio attento da parte del governo. “Noi lavoriamo insieme al ministero dell’Economia, su dei punti chiave da imporre nei negoziati, precisa Wolfgang Uellenberg. Ma nessuno sa veramente ciò che il ministero sa sullo stato dei negoziati e ciò che può fare per influenzarli.” Resta il fatto che in Germania, dove la stampa e finanche la televisione parlano largamente dei pericoli del trattato, il governo ha pubblicamente rigettato il meccanismo dei collegi arbitrali. La mobilitazione cittadina è larga: la campagna stop-TTIP dell’organizzazione Campact ha riunito più di 460.000 firme contro l’accordo transatlantico. In tutta Europa le proteste crescono nella società civile contro il trattato e l’opacità dei negoziati. Per tentare di rispondere, la Commissione ha aperto una consultazione pubblica sul tema dei diritti degli investitori. Una consultazione on-line per “sapere se l’approccio proposto dall’UE sul TTIP traduce un giusto equilibrio tra la protezione degli investitori e la salvaguardia della possibilità e del diritto assoluto dei governi dell’UE di legiferare nell’interesse generale”, argomenta il commissario europeo al commercio, Karel de Gucht. “Una parodia di consultazione democratica”, dichiara Attac: “quelli che rifiutano questo sistema di regolamentazione dei rapporti tra investitori e Stati perchè è pericoloso e ingiusto non avranno alcuna opzione per esprimerlo dal momento che il questionario parziale della Commissione non offre alcuno spazio per fare ciò. La Commissione dovrebbe al contrario mostrare la sua disponibilità per un vero dibattito, piuttosto che proporci una campagna pubblicitaria dissimulata all’attenzione delle multinazionali. Una volta che i negoziati saranno terminati, il trattato dovrà in ogni caso essere accettato dal Parlamento europeo per entrare in vigore. Parlamento che sarà rinnovato dopo le elezioni del 25 maggio.