Mentre su Il Sole 24 ore si grida alla vittoria italiana della “guerra dei supermercati”, in Germania la guerra viene combattuta con licenziamenti, contratti a chiamata e condizioni disciplinari da incubo. I dipendenti della Karstadt sono in agitazione, e Venerdì e Sabato scorso in molte città i supermercati della nota catena tedesca hanno ridotto il servizio oppure abbassato le saracinesche, mentre la Merkel parla di deregolamentazione del lavoro e controllo sociale, stabilendo una connessione inquietante…
Venerdì e Sabato i dipendenti del supermercato Karstadt hanno scioperato in diverse città tedesche. I lavoratori e il sindacato Ver.di. chiedono prospettive più certe per il futuro, migliori orari di lavoro e una maggiore stabilità delle condizioni lavorative attraverso il ritorno alla contrattazione collettiva. La lotta dei lavoratori dei supermercati cerca di opporsi alle crescenti misure di precarizzazione del lavoro che in Germania stanno trovando lo spazio per una preoccupante accelerazione.
La grande distribuzione delle merci si dimostra un settore strategico negli equilibri lavorativi europei. Non è un caso che proprio il personale dei supermercati e delle grandi reti di distribuzione, così come in Italia i lavoratori nel settore della logistica, stiano subendo attacchi importanti. Il processo di accentramento dei capitali e il convulso processo di coesione della borghesia europea, passano proprio per la compressione dei salari e l’estrazione di fette di plusvalore quanto più alte possibili dal lavoro vivo dell’operaio. Se questo è vero per tutti i settori di produzione, è utile allo stesso tempo sottolineare che favorire lo spostamento delle merci e favorirne la distribuzione è una delle esigenze fondamentali di un capitale sempre più globalizzato. Da questo punto di vista, spostare i profitti nei settori che sono considerati strategici è una delle tendenze naturali e necessarie del capitalismo. In questo senso, la via più efficace per estrarre maggior profitto da un settore così importante come la grande distribuzione, è quella della precarizzazione delle condizioni lavorative. Sono queste le armi della borghesia europea, dalla Norvegia a Cipro, e dall’Ucraina a Cabo da Roca.
L’Europa si candida ad essere il faro della precarietà. Lo dimostra Angela Merkel che all’ultimo vertice europeo ha chiesto di rafforzare l’agenda del 2010, proponendo ulteriori riforme verso la deregolamentazione (leggi, precarizzazione) del lavoro e il controllo sociale (leggi, repressione, in tutte le sue forme, da quella strettamente sbirresca a quella della disciplina sul lavoro). La Germania ha esortato tutti i Paesi del continente a proseguire e rafforzare le riforme nella direzione della “povertà necessaria”, per usare la calzante espressione delle fondazione Rosa Luxemburg. Tutto questo ha un fattore di collegamento per noi importantissimo: il processo di coesione della borghesia europea, e il tentativo di recuperare fette più ampie di mercato e di incrementare le possibilità di valorizzazione. L’intervento della Merkel al vertice europeo è da leggere in questo senso : non si tratta, dunque, di una imposizione ai Paesi più “in ritardo”, a vantaggio della “borghesia tedesca” tesa a guadagnare competitività, come se la politica della Cancelliera fosse semplicemente quella di regalare ai padroni teutonici la possibilità di andare a colonizzare i Paesi europei (in particolare mediterranei) con le loro merci e con le loro industrie. Si tratta, al contrario, di un auspicio estremamente “europeista”, che mira alla costruzione di una borghesia coesa, dotata di armi omogenee nello sfruttamento del lavoro salariato.
Le lotte dei lavoratori ci dimostrano in continuazione che i padroni del vecchio continente si trovano alle prese con un processo di ristrutturazione delle loro prerogative di classe; la borghesia si comporta (consapevolmente o meno) come se stesse combattendo una vera e propria guerra civile, dove in ballo c’è la costruzione dell’Europa della precarietà.
Con queste affermazioni non vogliamo dimenticare che la borghesia vive anche di conflitti al suo interno, né vogliamo affermare che questi conflitti possono sopirsi o essere accantonati; vogliamo rilevare, però, che accanto a questa tendenza ne sussiste un’altra – contraddittoria – che porta la borghesia a tentare di divenire più omogenea, ad accentrarsi, per guadagnare spazi di sfruttamento e di estrazione di profitto.
L’attacco al lavoro è generalizzato e da generalizzare. La povertà è necessaria ai guadagni e alla competitività della borghesia europea, a prescindere dalla nazionale di calcio per cui possa tifare. Le lotte dei lavoratori tedeschi ci aiutano a dire questo, a comprendere che l’Europa che vogliono farci credere sia un destino naturale dei popoli, non è altro che una costruzione di regole a uso e consumo di una classe di sfruttatori, che agisce con le armi che ha: licenziamenti, precarietà, ricatti, sottrazione di diritti e di servizi.
Contro l’Europa della precarietà, lavorare meno lavorare tutti.