[ha suscitato forti discussioni la decisione della CGTP, il principale sindacato dei lavoratori portoghesi, legato al PCP, di accettare l’arrogante divieto governativo di sfilare, oggi, sul ponte 25 de Abril, luogo simbolico di Lisbona, attestandosi su una semplice chiamata ad un concentramento ai piedi del ponte. La debolezza e la remissività della direzione della CGTP, facendo salva la buona fede, è indicativa della necessità di rinnovare dal basso le organizzazioni politiche e sindacali, ma soprattutto sull’esigenza che i lavoratori riprendano direttamente la parola sulla tattica e la direzione delle loro lotte. Pubblichiamo a proposito la traduzione di un intervento di Raquel Varela, ricercatrice presso l’Università Nova di Lisboa, pubblicato sulla rivista “Rubra“]
La “paura” dei portoghesi è un’invenzione (di Raquel Varela)
Per il movimento dei lavoratori, poche cose ci sono di così nefaste come l’autocensura, imposta dall’idea per cui il disaccordo in pubblico smobiliti. C’è una pressione per non commentare la decisione della CGTP di arretrare di fronte al governo, perché questo smobiliterebbe rispetto alla protesta del 19, ossia, perché non sarebbe “tattico”.
Faccio, poi, una dichiarazione d’intenti: parteciperò alla protesta del 19, ad Alcantara, e appoggerò gli scaricatori, riuniti nella Stazione Marittima di Alcantara, alla fine della manifestazione. Non prendo decisioni individuali di fronte a una protesta collettiva, credo che siamo in una situazione in cui tutte le proteste contro questo Governo devono essere appoggiate.
Nonostante ciò, l’arretramento della CGTP, che implica accettare che il Governo sia il signore della legge e possa applicarla come preferisce, mostra che il paese non ha solo un problema di Governo, ma un serio problema di assenza reale di opposizione, Questo problema non si risolve finchè le persone continueranno a “lamentarsi che i politici sono tutti uguali” e non prenderanno loro stesse, nelle proprie mani, il destino delle proprie vite. Al fondo del tunnel non c’è il buon senso, ma la miseria del salario minimo, della pensione minima, della emigrazione con salario minimo del paese di destinazione, o della disoccupazione: è questo, e nient’altro, ciò che questo regime ha da offrire.
Il Portogallo vive in un falso ricordo, e cioè che passammo di colpo dalla dittatura alla democrazia rappresentativa. In realtà, la verità è un’altra: tra un regime e un altro, nel 1974 e nel 1975, c’è stata un’altra democrazia e questa presupponeva una militanzia quotidiana sui posti di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nei quartieri. Se la democrazia rappresentativa è delegare i poteri ad altri, c’è un’altra democrazia, che si esercita direttamente attraverso le strutture di base elette.
Ma questo problema emerge dall’abitudine, tanto ben descritta nel libro “Discorso sulla servitù volontaria”, ed è “un veleno che prendiamo volontariamente. Ci siamo abituati ad avere una vita ragionevole con un regime politico nel quale non partecipavamo se non delegando i nostri poteri di quattro anni in quattro anni.
Siamo, piuttosto, una società di militanti: nelle associazioni di carità (con una intensa raccolta di fondi), nella praxis [i.e. la goliardia nelle università portoghesi] (con una organizzazione uguale a quella di partiti e sindacati, nuclei di praxis, un praxista per ogni aula di corso, etc. etc.), tra gli scout (che si riuniscono settimanalmente), nelle organizzazioni di difesa degli animali (per le quali i militanti, detti attivisti, pagano delle quote). Nonostante ciò, al di là di questo, rifiutiamo di militare negli spazi che decidono realmente la politica delle relazioni di lavoro, ossia, che decidono tutta la nostra vita. Militare sui posti di lavoro richiede organizzazione, pazienza, tempo, saper ascoltare, dialogare, affrontare e coniugare certi sforzi con altri. Implica andare alle assemblee, riunirsi, essere pronto ad ammettere errori, accettare che la nostra opinione non sempre vinca, lottare con ostinazione per le nostre idee. Militare significa trovare equilibri e comunità. L’alternativa è ciò che abbiamo, che è come dire: non c’è alternativa.
L’organizzazione sindacale e politica è l’unico tallone d’Achille del movimento sociale in Portogallo. Niente a che vedere col timore, come è diventato senso comune affermare. A volte, ho anche dato credito alla tesi del timore, ma oggi non ha senso, è diffusa perché attribuisce alla “natura umana” quello che è un problema politico. Non c’è nessun dato storico che permetta di concludere che stiamo di fronte a un problema di relazione libidinosa dei portoghesi con la sofferenza, che ci sia un piacere speciale per la sofferenza, plasmato in una innata mancanza di coraggio, una “paura di esistere” – proprio con uno dei popoli d’Europa che ha fatto più guerre civili e rivoluzioni negli ultimi 200 anni! Nè ci troviamo di fronte ad una naturalezza di “miti costumi”, come Salazar argomentava, perché ciò che rendeva tutto “mite” era il “costume” brutale della polizia politica. Gli uomini si fanno nella storia, per questo sono fatti di scelte sociali, non di “naturalezza”.
Negli ultimi tre anni, scioperi generali e manifestazioni gigantesche hanno dimostrato che la media dei portoghesi trova realmente intollerabile, per esempio, non avere un Servizio Sanitario Nazionale; crede nell’istruzione pubblica; crede nel giusto valore delle pensioni. Ma la debolezza organizzativa sindacale e politica mi sembra fin troppo evidente.
Riconoscerlo e cominciare a discuterne non risolve il problema, ma è essenziale per cominciare a pensare alle soluzioni. E’ essenziale partecipare a ciò che resta di movimento nel Movimento Sociale. Il 19 e il 26 Ottobre, con gli scaricatori, gli infermieri, i lavoratori della metro e i professori!