Da una settimana la Francia è ferma: il sito della SNCF, il corrispettivo francese di Trenitalia, accanto ad ogni orario, per qualunque tragitto ricercato riporta la frase “Ne circule pas” (non circola); i sindacati dei ferrovieri, dalla moderata CFDT agli autonomi di SUD, hanno indetto uno sciopero contro la riforma delle ferrovie che sta avendo un’adesione media dell’80%. E che non accenna a placarsi.
Di che si tratta?
Nel 1997, in attuazione delle direttive europee sullo scorporo del settore gestione dal settore infrastruttura, la Société National des Chemins de Fer si è divisa in due: da un lato, sempre col nome SNCF, la società che avrebbe gestito i trasporti, dall’altro, col nome di RFF, quella che avrebbe gestito stazioni e infrastrutture (i corrispettivi italiani sono Trenitalia e RFI, che infatti sono nate solo tre anni dopo).
Dopo 17 anni lo Stato è stato costretto ad ammettere che si è trattato di un sostanziale fallimento sul piano economico, nonchè sul piano della gestione complessiva del servizio, resasi molto più difficoltosa: per questo motivo ha deciso di tornare indietro sui suoi passi. Solo apparentemente, però.
La proposta di riforma prevede la costituzione di una nuova SNCF con al suo interno due divisioni, una per i trasporti e una per le infrastrutture: sia la società centrale che le divisioni avrebbero i loro organi amministrativi. In pratica, più che ritornare uno, l’ente si fa trino, come la Trinità cattolica.
Questo processo è in vista di un possibile arrivo di nuovi attori nel trasporto ferroviario francese, come è stato il caso di Italo in Italia: in ballo c’è dunque anche la ridefinizione delle regole complessive. I lavoratori vorrebbero la semplice generalizzazione del loro attuale contratto a tutti i nuovi soggetti eventualmente subentranti, mentre l’Union Transportes Publiques et Ferroviaires, UTP, vuole rimettere in discussione tutto: la base di partenza non è delle più incoraggianti ed è, per l’Italia, un film già visto.
Più domeniche lavorate, riduzione del numero di doppie giornate di riposo – oggi 52 -, 9 ore al più di pausa tra due giornate lavorative, estensione della durata della giornata lavorativa a 11,12 ore…la ricetta dei padroni è sempre la stessa: lavorare di più, per meno.
Traduciamo un esempio di come potrebbe essere il lavoro “post-riforma” tratto dal blog di un dipendente della SNCF: “Sabato scorso ho finito il lavoro alle 4 e mezza. Potrebbero farmi riprendere alle 13 e 30 per una giornata di dodici ore che mi portarebbe, dunque, all’1 e mezza. Da lì, potrei rientrare a lavoro alle 10 e 30. Quando si dorme? Quando si mangia? Quando possiamo vedere la nostra famiglia?”
Sylvain, così si chiama il lavoratore, continua rispondendo a possibili obiezioni relative al fatto che la riforma in sè non implica il peggioramento di condizioni che l’UTP vorrebbe; vale la pena di tradurre e di fare nostre le sue parole:
“Sento dire che forse è un po’ presto per fare sciopero e che non è perchè si rinegoziano degli accordi che i salariati vanno a perderci. (…) Sfortunatamente, in quindici anni da salariato di cui cinque alla SNCF, non ho mai visto una rinegoziazione d’accordo d’impresa che portasse a condizioni migliori per tutti. Questa finisce sempre per un maggiore guadagno per gli imprenditori e meno diritti per i lavoratori. (…) Al momento, la sola cosa certa è che il nostro contratto non sopravviverà sei mesi alla messa in atto della riforma. Tutto il resto è congettura.
Mi obiettano anche che la concorrenza alla quale dobbiamo resistere non è solamente quella di altri operatori ferroviari ma anche quella dei trasporti su gomma. Capisco bene, ma non potremo mai essere competitivi con imprese che assumono autisti dell’Est alle condizioni sociali dei paesi dell’Est. Possiamo già dire addio alle nostre ferie pagate e alla metà del nostro salario. La competizione tra lavoratori, cioè la guerra tra poveri, è questo che vogliamo?