Traduciamo e pubblichiamo questa conversazione tra due collettivi tedeschi a proposito di importantissime questioni di movimento.
Si tratta di un’intervista uscita prima della manifestazione Blockupy del primo giugno, ma pone lo stesso questioni importanti, al di là della singola scadenza. In particolare, i compagni, individuano l’esistenza di una critica reazionaria al capitalismo molto presente nei movimenti: una critica che si limita a indicare nelle banche e nei “banchieri” i responsabili della crisi in corso e delle misure di austerità.Questo tipo di atteggiamento non permette di interrogarsi sulla prospettiva che, oltre a essere la costruzione e l’identificazione del movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti, deve essere costruita su base europea. In questo senso, la solidarietà attiva (come dicono i compagni) diventa un punto importante nel momento in cui incontra la critica a un capitalismo che non agisce solo tramite l’entità astratta del potere finanziario delle banche, ma ha messo in moto un sistema di ristrutturazione del debito, del costo del lavoro e delle dinamiche di sfruttamento, cui stiamo assistendo a livello europeo e non solo. Questa ristrutturazione non è superabile, ma è la strada che il capitalismo prende naturalmente: aumento dello sfruttamento e accentramento di capitali.
In questo senso tutte le manifestazioni che pongono questa prospettiva di solidarietà e di lotta internazionale, ci sembra vadano nella direzione della costruzione di un movimento comunista che aggiunga degli spazi di agibilità politica che facciamo ancora troppa fatica a conquistare.
Interventionistische Linke – Perché dobbiamo resistere a una politica della crisi che peggiora le nostre condizioni di vita e colpisce la nostra autodeterminazione.
La crisi non è né astratta né lontana da noi. Questa non si mostra solo nelle catastrofi sociali in Grecia o nella disoccupazione di massa in Spagna. Noi la incontriamo anche in quegli europei che fuggono dalla povertà e che vedono più prospettive in un lavoro in Germania da 400 euro, che nei loro Paesi di origine, ma anche in molti migrant* da Paesi non europei, ridotti in schiavitù e derubati dei loro miseri salari.
Anche se la crisi nel Sud ha effetti ancora più devastanti, la crisi capitalista, che determina anche qui da noi salari da fame al limite della soglia di sussistenza, porta con sé debito e repressione. La crisi capitalista significa che gli affitti e le bollette aumentano velocemente, molto più dei redditi. E la crisi capitalista causa un aumento di paura, precarietà dell’esistenza, stress, burn out. La crisi capitalista significa guerra verso l’interno e anche verso l’esterno. Il capitalismo pervade tutte le nostre relazioni esistenziali, il modo in cui noi lavoriamo, in cui noi amiamo, impariamo, viviamo, abitiamo. La politica del governo, che produce impoverimento, disciplinamento e repressione non si può più tollerare.
Non c’è nessuna contraddizione tra l’ancoraggio di questa resistenza quotidiana nei nostri quartieri e nei nostri posti di lavoro da un lato e la creazione di punti visibili di provocazione del regime di crisi nei suoi centri nevralgici, dall’altro lato. Una sola cosa è importante. Superare la debolezza e l’attendismo e iniziare con la resistenza anche qui in Germania.
Ums Ganze – perché il capitalismo è sempre stato un problema.
Chi è di sinistra non lo sa solo da ieri: Il capitalismo si basa sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo nel regime del lavoro salariato.
Il rapporto di capitale produce valore anche nelle condizioni normali solo rubando ai lavoratori il prodotto del loro valore. Le crisi non hanno colpa della miseria, ma sono semplicemente una conseguenza necessaria. Ma la crisi distrugge una illusione su cui si è adagiata comodamente per decenni anche la sinistra nel nostro Paese: che il capitalismo crea una pacifica prosperità generale.
Ma i vincoli capitalisti non determinano solo le relazioni economiche degli uomini, la sfera della produzione. La crisi del debito nazionale di questi anni rivela anche una crisi della riproduzione – tutte le singole attività e ambiti sociali supposte lontane dallo sfruttamento capitalista, proteggono e rinnovano i suoi fondamenti. Il capitalismo e le sue nazioni cercano di salvarsi attraverso una brutale “espropriazione” interna. Loro rompono cioè le garanzie ai legami sociali. Il capitalismo non appare più come una crescita naturale, ma viene riconosciuto come storicamente determinato, come dominio. Il capitalismo non verrà superato a causa della crisi, ma le proteste contro la crisi sono la nostra migliore possibilità per allargare questa battaglia.
IL – Perché vogliamo essere e diventare parte di un movimento europeo.
La crisi e il capitalismo sono globali e possono essere combattuti solo attraverso una resistenza che sia anche collettiva. I diktat del risparmio della Troika, UE, FMI e Banca Centrale, e la povertà causata da questa situazione nei Paesi del Sud Europa, rimangono incontrastati. Le occupazioni, gli scioperi generali, e le dimostrazioni di massa sono parte di una resistenza dura e allo stesso tempo incoraggiante contro le pretese della gestione politica della crisi da parte dei governanti. L’opposizione agli sfratti, l’occupazione e l’autogestione delle fabbriche e lo sviluppo di una economia solidale di strutture di auto-aiuto, danno speranza e prospettive al fatto che le persone possano organizzarsi al di là delle relazioni capitaliste. Come sinistra radicale tedesca, impariamo da queste battaglie ed esperienze che ci ispirano e ci danno coraggio.
La solidarietà pratica con i nostri compagni e compagne nel sud Europa e del Sud del mondo, significa innanzitutto opporsi alla politica della crisi tedesca e ampliare qui la resistenza. Ma non ci si può fermare alla solidarietà.
Così come il capitale si serve delle istituzioni europee mettere i movimenti l’uno contro l’altro e per sottrarre le decisioni ad ogni controllo democratico, così dobbiamo anche noi costruire la nostra struttura di contropotere internazionale: perché non dobbiamo dare nessuno spazio al nazionalismo, e perché il nostro scopo è un mondo senza sfruttamento e oppressione.
UG – Perché c’è anche una critica reazionaria al capitalismo
Da quando la crisi del capitalismo ha raggiunto il Nord sottrae alla sovranità dei governi, al neoliberismo, la sua ultima legittimazione. Nessuno sano di mente, però, dirà che la radicale economicizzazione della società porta automaticamente un movimento sociale, che voglia superare il capitalismo.
Innanzitutto non bisogna stupirsi del rafforzamento del partito neofascista in Grecia e Ungheria. Anche in Germaia e in Austria il presidio nazionale viene difeso con molto orgoglio, per cui vengono accettati allungamenti della giornata lavorativa e i sacrifici. Il razzismo e la discriminazione di genere si rafforzano, il social-sciovinismo disciplina tutti quelli che non possono o non vogliono più lottare, il sistema delle frontiere e delle espulsioni tedesche ed europee spinge ogni anno verso la morte migliaia di migranti. In questa situazione non è solo conveniente, ma anche assolutamente penoso criticare le proteste per la crisi accondiscendendo da dietro a una scrivania. Ora, poiché nelle proteste si aggirano anche spiriti reazionari, poiché una falsa cri tica al capitalismo si trova così vicina a noi, dobbiamo cominciare una battaglia politica, o almeno condurla diversamente. La critica al capitalismo personalista, che deplora moralisticamente i banchieri e la loro avidità e con ciò rimanda facilmente a uno stereotipo antisemita, non prende di mira la struttura del dominio capitalistico. Bisogna invece opporgli una critica su tutta la sua complessità.
IL – Perché la protesta non è sufficiente e noi abbiamo bisogno di una azione che si radicalizzi, si rafforzi e vada oltre le frontiere nazionali.
Blockupy non intende portare avanti una manifestazione in senso ritualizzato. Si tratta, invece, della rottura del funzionamento normale della quotidianità cittadina, un momento di messa in discussione della normalità, del meccanismo della rappresentanza. Di fronte alla dimensione dell’attacco sociale attraverso le politiche di crisi del governo federale e della troika una mera protesta sarebbe finita troppo presto. Di grandi dimostrazioni ce ne sono state già molte: noi vogliamo organizzare resistenza, vogliamo intervenire e almeno per un giorno, in un solo luogo, rompere il normale funzionamento del regime di crisi capitalista.
A partire da questo, il risultato radicalizzante non si misura in prima battuta dall’effetto materiale dei blocchi e delle azioni. A Blockupy si uniscono attivist* da diversi ambiti, sindacalisti, Student*, migranti, rifugiati, sinistra radicale, e così via. Insieme a tutti loro vogliamo superare le frontiere, insubordinarci in massa, resistere all’ordine poliziesco, allargare il campo di battaglia della nostra parte. Il fatto che ci si contrapponga attivamente allo Stato, può condurre, proprio come l’esperienza della solidarietà e dell’autorganizzazione, al fatto che le persone e i movimenti si radicalizzino e che emergano fratture nella quotidianità.
La reazione massiccia della forza dello Stato contro Blockupy del 2012 ha mostrato che noi abbiamo toccato un punto sensibile. Che noi li abbiamo sfidati su un terreno sul quale si sentivano più sicuri. Da qui vogliamo cominciare e su questo vogliamo costruire – anche come trampolino di lancio per una mobilitazione internazionale nel 2014 ancora più grande, quando l’élite politica ed economica dell’UE festeggierà l’apertura del nuovo edificio della BCE e noi gli rovineremo la festa.
UG – perché siamo per un antinazionalismo internazionale.
Per la prima volta dal declino del movimento anti globalizzazione si mostrano accenni di un internazionalismo emancipatorio, e lotte anticapitaliste. Le prime manifestazioni e azioni coordinate trovavano luogo, attorno all’European Day of Action against Capitalism nel Marzo 2012. Con tutte le sue carenze nell’analisi e nell’azione. Anche Blockupy può considerarsi assolutamente una piattaforma di questa rete, perché comprende la crisi come problema del capitalismo globale e cerca alleanze esplicitamente transnazionali. Di fronte al ruolo trainante della Germania nella gestione europea della crisi, è tempo per una sinistra radicale di diventare praticamente solidale con i compagni e le compagne che combattono in altri Paesi. Infrangiamo lo statalismo di sinistra, la logica locale e il corporativismo. Superiamo l’ottusità nazionale delle nostre battaglie; lavoriamo a una critica comune allo Stato, alle fabbriche, e ai poliziotti – per un antinazionalismo internazionale!
IL– Perché noi vogliamo essere parte organizzata di un contropotere che superi il capitalismo e renda possibile il comunismo.
Questo è il compito di una sinistra radicale nelle campagne e nei movimenti, essere qualcosa di più che autori e autrici attivi, costruttivi e attendibili; biogna anche sollevare le questioni fondamentali e radicali. Questioni che superano la critica alle banche e il romanticismo dello stato sociale. Questioni sui rapporti di forza, sullo Stato e sulle possibilità della resistenza, questioni sul superamento del capitalismo, del patriarcato, del razzismo. Questioni sulla giustizia e sulla vita buona su scala globale, su una nuova utopia.
Blockupy è una buona possibilità di porre queste domande che mostrano l’interno della superficie dell’ordine dominante e pongono le cose radicalmente in questione. E Blockupy è un buon luogo per incontrare compagni di lotta che vogliono superare il capitalismo e rendere possibile una prospettiva comunista.
La parte migliore di ogni risposta è l’organizzazione, ovvero il superamento dell’isolamento e della rassegnazione e la costruzione di analisi collettive e di capacità di azione. Le risposte a queste questioni non nascono, però, nelle scrivanie, ma nel combattimento, nel e attraverso il movimento reale che supera lo stato di cose presenti.
UG – perché vogliamo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.
Noi non ci illudiamo: Blockupy rimane, come tutti i radicalismi verbali delle “proteste pubbliche di disobbedienza civile”, una azione politica simbolica. Qui arrivano persone con esperienze differenti che lottano per una vita diversa da quella che gli impone la logica del profitto. Di queste realtà non condividiamo tutto. Ma fermarsi a questa considerazione equivarrebbe a rassegnarsi e a considerare questa rassegnazione non come cinismo ma come critica. La solidarietà deve diventare pratica. Blockupy Deportation Airport, il blocco del funzionamento del più grande scalo aereo di Europa, è stato un tentativo in questo senso. Anche l’antirazzismo, infatti, è la prima questione, quando permette di combattere, nel loro insieme, la discriminazione quotidiana e le relazioni globali di sfruttamento. Le lotte anticapitaliste e antirazziste vivono insieme in un movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.
Blockupy 2013
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